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Scatti d’artista: Irving Penn

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 “Un buon fotografo è una persona che comunica un fatto, tocca il cuore, fa diventare l’osservatore una persona diversa.” 

(Irving Penn)

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Irving Penn, Donna con cappelo Dior e Martini, 1952

Voleva fare il pittore, ma ben presto si convinse che non sarebbe mai diventato un grande artista.

Il suo amore e la sua profonda conoscenza della pittura li riversò nell’arte fotografica, attraverso la quale raggiunse le vette del successo. Irving Penn, il Picasso dei fotografi, nacque a Plainfield nel 1917. Compiuti gli studi, la grande svolta avvenne nel 1943 quando il direttore di Vogue, Alex Liberman, gli affidò la copertina della sua sofisticata rivista.

Penn inventò una composizione astratta con accessori di moda che scandalizzò i redattori, ma che conquistò immediatamente il direttore: “eravamo visti come pericolosi attentatori delle buone maniere”, disse a riguardo Liberman.

Lo scatto di Penn proponeva una sorta di natura morta composta da un guanto, una borsa, una cintura, ripresi da vicino su di un tavolo di legno e, sullo sfondo, un quadretto con dei limoni.

Un’immagine decisamente innovativa che propose uno stile riconoscibile e glamour, classico nella sua semplicità, indubbiamente influenzato da ispirazioni grafiche.

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Irving Penn, Copertina di Vogue, 1943

Il sodalizio con Vogue fu lungo e proficuo, Penn realizzò per la rivista ritratti e still life, straordinari nella loro nitidezza e nel loro rigore. Penn sfrondò la foto di moda da inutili decorazioni o da barocchi elementi di contorno enfatizzando il soggetto, unico e incontrastato protagonista delle sue foto. Egli era convinto che l’ambientazione dello scatto non avesse importanza: non aveva bisogno di location mozzafiato, ma soggetto e luce erano i soli elementi necessari a trasmettere il messaggio.

Non cercò mai, come fecero i suoi predecessori, l’arredamento intonato con l’abito da sera o il raffinato ristorante, era sufficiente uno sfondo neutro per isolare ed esaltare il soggetto.

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Irving Penn, Ritratto di Kate Moss, 1993

Anche nelle sue nature morte, gli still life, egli catturò la poesia delle cose senza inutili sofisticazioni o l’uso di luci elaborate. Scatti puliti eppure non convenzionali, caratterizzati da quel particolare aggiunto per sbilanciare un equilibrio troppo perfetto: il guizzo caratteristico di Penn che spezza una linea troppo prevedibile.

Il granulo di pepe, il seme di anguria, il gheriglio di noce, così come la vespa appoggiata sul limone o la formica che cammina sul formaggio, sono perfetti elementi di disturbo di una superficie troppo nitida: il disordine della vita reale che erompe nella composizione per riportare entro la normalità delle immagini che altrimenti sarebbero di una perfezione abbacinante.

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Irving Penn, Natura morta con anguria, 1948

Con le sue foto Penn riuscì a rinnovare i generi tradizionali della fotografia, ritratto e natura morta, servendosi solamente dell’uso magistrale della sua macchina.

Nei ritratti dimostrò una straordinaria empatia, una sorta di sesto senso che gli permise di entrare in sintonia con la persona rappresentata.

Mentre nella natura morta il fotografo ha il controllo assoluto sul soggetto, nel ritratto il controllo è subordinato alla volontà del soggetto, l’abilità di Penn fu quella sua capacità preziosa e rara di trovarsi in perfetta sinergia con il soggetto ritratto, alimentando, così, un reciproco scambio di emozioni.

Penn riuscì ad eccellere in entrambi i generi proprio per questa sua rara sensibilità e per la sua grande conoscenza tecnica del mezzo fotografico, riuscendo, come solo i geni possono fare, ad oltrepassare i limiti tradizionali.

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Irving Penn, Ritratto di Salvador Dalí, 1948

Verso gli anni Settanta, Penn iniziò ad accorgersi che il mondo della moda stava prendendo le distanze dal suo modo di sentire.

Ecco che allora, pur continuando a svolgere il suo lavoro per il fashion system, sempre più legato a rozze logiche di mercato, volse il suo scatto verso le etnie tribali, ricercando lo stile lì dove non vi è civiltà, e verso i detriti urbani, vestigia di una civiltà sepolta.

Allontanatosi dalle celebrities, Penn si concentrò sullo sporco del pavimento.

Mozziconi di sigaretta, avanzi di cibo, ossa, teschi umani e animali, ferraglie di vecchi macchinari, divennero i modelli preferiti delle sue foto che, in tal modo, trovarono un riscatto dalla loro anonima bruttezza attraverso delle eleganti composizioni dal sapore astratto.

Se nelle foto di moda descrisse vizi e virtù di un certo tipo di società, in quelle personali Penn descrisse i limiti che tali vizi e virtù trovano di fronte al trascorrere del tempo e all’erosione della morte.

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Irving Penn, Sigarette, 1999

Mirabile artigiano della fotografia, capace di trasformare un semplice editoriale in un evento visivo come di creare audaci accostamenti di polli e tacchini spennati, Irving Penn fu una sorta di reporter culturale.

I suoi scatti conservano l’impronta di un lavoro onesto, condotto con dedizione e passione, lontano dalla volgarità e da puri interessi commerciali.

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Irving Penn, Ape sulle labbra, 2005

 

Fino al 31/12/2014 sarà possibile vedere  a Venezia, a Palazzo Grassi, l’esposizione “Irving Penn, Resonance”, curata da Pierre Apraxine e Matthieu Humery.

http://www.palazzograssi.it/it/mostre/irving-penn-resonance

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Irving Penn

 

 

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